Un capolavoro giovanile

Quando arriva, quando parte

Andrea Mantegna arriva a Padova per lavorare alla cappella Ovetari nella Chiesa degli Eremitani: ha ancora diciassette anni e segue i dettami del suo capo bottega, il pittore antiquario Francesco Squarcione. Termina la decorazione della Cappella: di anni ne ha ormai ventisei, ha sposato Nicolosa Bellini (sorella del pittore veneziano Giovanni Bellini) ed ha già uno stile originale e maturo.

Mantegna nella bottega dello Squarcione

Quel ragazzo di diciassette anni lavora alla bottega padovana dello Squarcione ormai da sette anni: sta imparando a dipingere, studiando le novità introdotte a Padova da Donatello e riproducendo le anticaglie classiche che l’impresario mette a disposizione dei suoi allievi. Lo Squarcione Insegna loro a dipingere ghirlande di fiori e frutta e instilla l’amore per la classicità e per la citazione archeologica. Francesco Squarcione manda proprio lui, insieme a Nicolò Pizzolo a decorare la cappella Ovetari a Padova. Nicolò esegue alcuni lavori, ma non è in grado di portare a termine la decorazione e alla fine dell’anno successivo muore precocemente. Ha eseguito alcuni affreschi sull’altare ed ha riquadrato le due pareti per l’inserimento degli affreschi delle vite dei santi a cui è dedicata la cappella, san Giacomo e san Cristoforo.

Mantegna, invece, tra varie vicissitudini, dopo aver dipinto l‘Assunzione e le Storie di Giacomo, si dedica anche alle ultime due scene le Storie di San Cristoforo. L’affresco è praticamente il suo esordio, ma già un capolavoro.

Il Martirio e il Trasporto di san Cristoforo

Ci aiutiamo con una copia dell’affresco oggi conservato al museo .Jacquemart Andrè (qui ti racconto il perché). Mantegna ha certamente seguito il racconto della Leggenda Aurea.

San Cristoforo viene colpito dalle frecce e il re ha una freccia negli occhi
Andrea Mantegna, Martirio di san Cristoforo – Cappella Ovetari – Chiesa degli Eremitani – Padova
Arcieri cercano di uccidere san Cristoforo
Andrea Mantegna – Martirio di san Cristoforo (copia del museo Jacquemart Andrè)
Soldati e uomini trasportano il corpo dli sna Cirstoforo Mantegna
Andrea Mantegna -Trasporto del corpo di san Cristoforo (copia del Museo Jacquemart Andrè)

Una prospettiva perfetta

Prima di tutto, colpisce l’impianto prospettico illusionistico dell’affresco. Tutto è in prospettiva perfettamente gestita dal giovane pittore che inserisce numerosi edifici sui diversi piani: porta l’occhio alla profondità, grazie anche al pavimento a scacchi e al pergolato che segnano in modo immediatamente visibile le linee della prospettiva. Eppure la scena si svolge vicino a noi, talmente vicino che alcuni elementi escono dalla cornice (il corpo colossale del santo legato nel primo riquadro, la sua testa mozzata nel secondo) e ci vengono incontro: la questione coinvolge anche noi spettatori, perché il santo è pronto ad operare miracoli anche su di noi. Non dimentichiamo che il re-persecutore stesso è stato miracolosamente guarito dal sangue fuoriuscito dalla capo mozzato del santo.

Una colonna per dividere il prima dal dopo

Interessante l’uso della colonna centrale che divide in due l’affresco, non tanto spazialmente, quanto temporalmente. Sono, infatti, raffigurate due scene, una successiva all’altra: il (tentato) martirio del santo e il trasporto del suo corpo decapitato.

Il misticismo archeologico

L’architettura rappresentata appartiene ai due mondi dell’artista: il contemporaneo (raffigurato dal campanile di san Marco e da tratti delle Mura di Padova sullo sfondo) e il classico (raffigurato dagli edifici ad arcata e dal tempietto sulla destra, nonché dal palazzo del re, ricco di medaglioni, architravi). La sua operazione tende a mettere in connessione passato e presente, classicità e cristianità: Roberto Longhi l’ha chiamato misticismo archeologico.

I personaggi, ciascuno con la propria personalità

I personaggi in scena sono disposti in gruppi, ma non sono anonimi. Ogni personaggio è caratterizzato da un’emozione che sottolinea con la postura e le espressioni del viso.

Nel Martirio di san Cristoforo

Tra gli arcieri che hanno tentato di uccidere il santo, uno si volta a guardarlo sconvolto, perché la freccia che ha scagliato ha cambiato direzione. Un altro guarda verso il re che, mentre osservava il martirio dalla finestra del palazzo, è stato colpito dalla freccia proprio nell’occhio. Un altro, in primo piano, di schiena, ha appena lanciato la sua freccia, ha ancora le braccia aperte: ma ora le braccia sottolineano la meraviglia. Il suo compagno tiene con una mano l’arco e con l’altra ci indica il re, perché non ci sfugga la sua vicenda. Altri ancora sono chini a terra: si danno da fare per lanciare, forse non l’hanno ancora fatto, forse ci vogliono ritentare. Gli unici immobili sulla scena sono dei nobili: forse, sono rimasti come pietrificati dinnanzi al prodigio.

Nel Trasporto del corpo di san Cristoforo

Uomini e soldati si danno da fare per spostare il corpo colossale del santo decapitato. La corda messa sotto le sue gambe sottolinea lo sforzo compiuto da un giovane e da un soldato che si piega indietro a chiamare qualcuno in soccorso. Tra gli astanti, molti guardano stupefatti; due si stringono fra loro, colpiti da quanto vedono. Solo i due soldati in primo piano sono distratti: uno guarda indietro, nella scena precedente, mentre l’altro guarda un bambino che gli tocca la gamba. Dalla finestra, il re, risanato, e altre due figure assistono alla scena.

I personaggi risultano ben armonizzati nello spazio: evidente la conoscenza da parte di Mantegna del miracolo di sant’Antonio, realizzato in bronzo da Donatello per l’Altare del santo.

Di san Cristoforo è evidente la monumentalità e la sacralità: un colosso, ma con il torace definito in modo eccezionale, secondo l’attitudine di grande precisione anatomica tipica di Andrea Mantegna.

I colori veneti

Fin qui risultano evidenti gli influssi degli artisti rinascimentali venuti al Nord per diffondere la rivoluzione toscana (Donatello, Piero della Francesca e Leon Battista Alberti, i più importanti) e la meditazione sull’antico imparata nella bottega di Squarcione. Ad essere nuovi per il giovane Mantegna sono i colori: proprio la vicinanza con i Bellini e la cultura veneta spinge il pittore all’uso di colori meno smaltati e più dolci rispetto a quelli imparati da Squarcione (e passati poi alla tradizione ferrarese di Cosmè Tura, del cui San Cristoforo parleremo). Ora i colori sono in parte perduti, ma è possibile notare ciò almeno nella parte dello sfondo (il bianco come colore che domina ed illumina tutta la scena, includendo edifici ed uomini; il cielo nero e nuvoloso, gli alberi verdi, la bella bandiera rossa svolazzante).

Dalla tradizione alla maturità: Mantegna 1449 – Mantegna 1457

Ecco, quindi lo stile precoce, ma già maturo di Mantegna, ancora più visibile se confrontiamo il primo san Cristoforo da lui realizzato per il soffitto della cappella nel 1449 al capolavoro del 1457. Per le note vicende, l’affresco è giunto a noi solo in una fotografia antecedente il 1944.

San Cristoforo con la palma
Ricostruzione parete – Cappella Ovetari – Chiesa degli Eremitani – Padova

La raffigurazione del santo è piuttosto tradizionale, per niente dinamica. Certo, manca il Bambino! Manca, però, anche la colossalità del santo, mentre ghirlande di fiori molto ingombranti quasi lambiscono il capo del santo. Ne ha fatta di strada in dieci anni il nostro Andrea Mantegna!

N.B. E l’abbandono piuttosto turbolento della bottega dello Squarcione ha una testimonianza anche nell’affresco. Sembra che Andrea abbia dato al secondo arciere sulla sinistra, quello che guarda stupefatto san Cristoforo, i tratti, forse anche piuttosto caricaturali, del maestro: non proprio un addio malinconico!

Sulla cappella Ovetari

Bibliografia