Lettera al san Cristoforo di L’viv (Leopoli)

Caro san Cristoforo

Caro San Cristoforo, mentre passano continuamente immagini della tua Ucraina in televisione, mi sei venuto in mente tu. Fino al febbraio del 2022, guardavi dall’alto della tua colonna, L’viv (Leopoli), la tua città: i suoi palazzi, i suoi tetti, la gente che passeggia, i papà, le mamme, i bambini, le nonne al mercato, i fidanzati per le strade. La vita, la solita vita che scorre.

Statua bianca su sfondo di cielo azzurro
San Cristoforo – Cattedrale armena di Leopoli . ph. lia.lvivcenter.org

San Cristoforo impacchettato

Oggi ti hanno impacchettato per paura che le schegge delle bombe o il contraccolpo delle esplosioni ti danneggino. Insieme a te hanno impacchettato le statue di tutti i monumenti della città: quella di Nettuno, Diana, Anfitrite e Adone nella piazza del Mercato, quella dei santi sulle pareti esterne della Basilica dell’Assunzione.

Anche il Cristo di legno della cattedrale armena è stato portato via dal cortile su cui svetti sulla tua colonna. Solo durante la Seconda Guerra Mondiale, la sua edicola è rimasta vuota come oggi.

San Cristoforo, vegli su di noi dal 1723

Caro san Cristoforo di L’viv (Leopoli), dal 1723 vegli sui tuoi cittadini di questa città dai mille nomi. È stato Krzysztof (Christophorus) Augustynowicz, il direttore del Collegio armeno di Leopoli, a costruirti sulla tua colonna. Allora la città si chiamava L’wow ed era una città regia del Regno di Polonia. Augustynowicz ha voluto suggellare con una statua dedicata al santo con il suo nome il lavoro di restauro della Basilica armena.

Una statua in pietra bianca su un’alta colonna corinzia. E tu, San Cristoforo, ti appoggi su un tronco e porti sulla spalla sinistra il Bambino. Gesù ci benedice con la mano destra e gioca con il globo del mondo che tiene fermo con la mano fra le due gambe aperte.

Una città, quattro nomi: Leopoli, Lemberg, L’vov, L’viv

Leopoli

In questi anni, la tua città è diventata anche un po’ italiana: proprio architetti italiani vennero chiamati a ricostruire secondo stilemi rinascimentali la tua piazza del mercato distrutta da un incendio: Leopoli, la chiamavano gli italiani, la città del leone.

incisione a stampa che ritrae la città di Leopoli
Veduta di Leopoli, in Theatri praecipuarum Totius Mundi Urbium Liber Sextus Anno MDCXVII.

Lemberg

Caro San Cristoforo, hai continuato a proteggere la città quando si chiamava Lemberg ed era la capitale della Galizia, sotto il controllo degli Asburgo dal 1772 al 1910. Città in cui si parlava polacco e ucraino, c’erano università in lingua tedesca e polacca, convivevano cattolici di rito latino e di rito greco-ucraino e una grande comunità ebraica. Certo, c’erano conflitti, gelosie e discriminazioni, ma le genti convivevano e Lemberg fioriva.

Chissà se dall’alto hai intravisto i soldati trentini che sono venuti a combattere alle tue porte, quando Russi e Impero Austroungarico si sono scontrati qui nel primo anno della prima guerra mondiale.

Uomini dell'esercito austroungarico in Galizia, seduti su una collina
Soldati trentini in Galizia nel 1914
Great War Primary Document Archive: Photos of the Great War – www.gwpda.org/photos

Chissà che cosa hai visto quando alla fine del conflitto tra le tue strade si sono svolti i combattimenti fra la maggioranza polacca, i fucilieri ucraini ruteni minoranza della città, e l’Armata Rossa.

Essere il confine è stata la condanna di Leopoli: scontri violenti fra i popoli, morti, sangue, deportazioni. Ma anche una benedizione: Leopoli è stato luogo di incontro fra i popoli diversi, luogo di cultura, città universitaria.

Caro san Cristoforo, credo che tu abbia pianto di fronte alla completa cancellazione della comunità ebraica, avvenuta quando, fra il 1941 e il 1944, la tua città riprese il nome di Lemberg, sotto la dominazione nazista. Dei duecentomila ebrei che abitavano la città (centomila rifugiati da altri luoghi) ne rimasero sono qualche centinaia.

L’vov

Caro san Cristoforo, guardavi dall’alto quando la tua città diventava nel 1945 L’vov, parte dell’URSS, ed i tuoi concittadini di origine polacca sono stati traferiti in massa a Breslavia e tu sei diventata terra ucraina e sovietica. E altre lacrime hai versato, quando il parroco della tua basilica, Dionizi Kajetanowicz, è stato deportato insieme ai religiosi in un gulag in Siberia ed ucciso.

L’viv

E, caro san Cristoforo, hai contemplato dall’alto l’ultimo grande passaggio, quando l’Ucraina è diventata indipendente nel 1991 e la città ha assunto il suo ultimo nome, L’viv.

Non scrollare il capo, caro san Cristoforo di L’viv (Leopoli): anche noi abbiamo sperato nel sogno di un ventunesimo secolo migliore della storia che ormai sembrava passata. Nel sogno di un secolo di pace in Europa e alle sue porte.

E invece gli ucraini sono costretti ad avvolgerti in teloni, sono costretti a riporre il loro crocifisso in un bunker.

Proteggiamo san Cristoforo e il Crocifisso

Proteggere san Cristoforo e il Crocifisso, per proteggere l’arte che fa di Leopoli una città gioiello, il cui centro storico è patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Proteggere san Cristoforo e il Crocifisso, per proteggere l’identità nazionale, ma un’identità che non deve essere nazionalistica (e basti pensare alla storia di questo san Cristoforo, costruito in una basilica armena, da un giudice polacco, in terra ucraina), ma rispettosa del mondo multiculturale della città in cui sono giunte e da cui sono partite molte genti.

Proteggere san Cristoforo e il Crocifisso, per proteggere i deboli, i bambini, anziani, donne, uomini del popolo ucraino bombardato dall’esercito russo.

Proteggere san Cristoforo e il Crocifisso, per riportarli alla luce quanto prima, per celebrare la pace ritrovata, perché il nostro santo possa continuare a vegliare sui palazzi, sui tetti, sulla gente che passeggia, i papà, le mamme, i bambini, le nonne al mercato, i fidanzati per le strade. La vita, la solita vita che scorre.

Sul canale youtube @sullespalledisancristoforo

Bibliografia

sitografia

per approfondire

Conferenza Leopoli è ovunque Dialogo sulle radici culturali europee