- San Cristoforo nel Retablo Maggiore dell’ex Chiesa di San Benito di Calatrava a Siviglia
- Il monastero di san Benito di Calatrava
- San Cristoforo dei Visigoti
- I monaci dell’Ordine di Calatrava a Siviglia
- Otto santi per un retablo gotico
- Un elegantissimo san Cristoforo
- Eppure San Cristoforo resta un gigante!
- Caratteri popolari ed eleganti di san Cristoforo
- Gli altri san Cristoforo di Siviglia e il san Cristoforo di san Benito di Calatrava
- Bibliografia
San Cristoforo nel Retablo Maggiore dell’ex Chiesa di San Benito di Calatrava a Siviglia
Al Museo di Belle Arti a Siviglia è presente una pala d’altare (retablo), del 1480 circa, attribuita ad un pittore del “circolo di Juan Sánchez de Castro”. Proviene dal Monastero di san Benito di Calatrava di Siviglia, ridotto a caserma dai Francesi all’inizio dell’Ottocento e poi demolito.
Nella pala sono raffigurati otto santi, fra cui anche il nostro san Cristoforo, un bellissimo, elegantissimo e tradizionale san Cristoforo. Ma perché qui un san Cristoforo? Facciamo un salto nella storia del convento che ci porta indietro, fino all’ottavo secolo e all’epoca visigota.
Il monastero di san Benito di Calatrava
L’ormai scomparso monastero di san Benito di Calatrava si trovava a Siviglia, presso una delle porte della città, la Carmona. Sarebbe sorto al posto di un’antica moschea, a sua volta costruita su un monastero addirittura risalente al secolo VIII, epoca visigota: e qui abbiamo un sussulto, perché il monastero era intitolato a Santa Maria o a san Cristoforo.
San Cristoforo dei Visigoti
Il luogo era adatto alla presenza di un monastero dedicato al nostro santo, in quanto si trovava presso una porta della città e vicino al Guadalquivir. Tra l’altro, la Spagna fu proprio una delle prime terre in cui si diffuse la devozione del nostro santo. Ma, in ogni caso, pensare a San Cristoforo dei Visigoti ci mette le vertigini. Perché i Visigoti hanno apprezzato questo santo orientale? L’hanno portato con sè nelle loro peregrinazioni o il santo è giunto dal Mediterraneo e lo hanno trovato in quella cittadina di origine romana che poi sarebbe diventata Siviglia?
Un altro dato ci conferma la conoscenza di san Cristoforo presso i visigoti: tra i Martiri di Cordova si ricorda un Cristoforo martirizzato il 20 agosto 852. Se qualcuno già portava il nome di Cristoforo, significa che il santo era già conosciuto tra i Visigoti.
Quanto bello sarebbe vedere con i nostri occhi la raffigurazione di san Cristoforo nel monastero visigoto a lui dedicato! Potremmo capire se già in questo periodo era nata l’immagine più tradizionale del san Cristoforo ispanico, quella con la macina da mulino e i pellegrini alla cintura. Non ci è data questa fortuna!
Erano stati i monaci dell’Ordine di San Benito di Calatrava a costruire il monastero che fiorì fra XII secolo e XIX secolo a Siviglia. Ma cos’è l’Ordine di Calatrava?
I monaci dell’Ordine di Calatrava a Siviglia
L’Ordine di Calatrava nacque nel XII secolo in risposta all’esigenza di difesa territoriale del Regno di Castiglia . La città di Calatrava , nota in arabo come *Qal’at Rabah*, era strategicamente situata vicino al fiume Guadiana e divenne un importante baluardo per la protezione di Toledo e del confine castigliano contro la minaccia degli eserciti musulmani di Al-Andalus. Nel XII secolo, l’arrivo di un esercito composto da oltre 20.000 monaci e soldati riuscì a scoraggiare le forze musulmane, che alla fine si ritirarono a sud, consolidando così il dominio cristiano su Calatrava. Durante la Reconquista, l’ Ordine di Calatrava consolidò il suo potere politico e militare nella penisola iberica, raggiungendo un’influenza che si estendeva lungo il confine tra Castiglia e Aragona. Amministrava vasti territori, tra cui numerosi feudi e proprietà che esercitavano la signoria su migliaia di vassalli. Fra questi era presenta anche il Monastero di san Benito a Siviglia.
Intorno agli ultimi decenni del XV secolo, venne commissionata la realizzazione del retablo. Erano anni piuttosto complicati per il nostro monastero, che, di lì a poco, passò sotto il controllo diretto della monarchia (e, da allora in poi, tutti i re di Spagna assunsero il titolo di Maestro). La funzione militare dell’Ordine iniziò a diluirsi e il suo scopo primario divenne l’amministrazione delle sue vaste proprietà.
Otto santi per un retablo gotico

I quattro dipinti raffigurano otto santi accoppiati su uno sfondo azzurro cielo con un motivo dorato di melograno damascato. Ogni figura è isolata in una nicchia disegnata da due archi in sostegni lignei, poggianti al centro su una colonna scanalata. Il fondo dorato di ogni nicchia è lavorato da un motivo a griglia con una roulette, Il terzo inferiore del dipinto rappresenta il pavimento, è rappresentato da una piastrella senza effetto prospettico; ovviamente san Cristoforo poggia i piedi nell’acqua. Questa disposizione di nicchie gotiche, fondo dorato e fascia inferiore maiolicata ricorda quella delle miniature dei libri.
Non sono del tutto chiari i motivi per cui son stati scelti proprio questi santi (San Gerolamo e San Antonio da Padova; Sant’Andrea e San Giovanni Battista, Santa Caterina e San Sebastiano, Sant’Antonio e San Cristoforo) lasciando fuori dal retablo santi molto importanti per il monastero (San Benedetto) o per gl ordini monastici (san Giorgio e san Michele).

San Cristoforo è presente nel retablo in quanto protettore dei viaggiatori e dei pellegrini, forse collegata all’antica devozione per il santo testimoniata dalla dedicazione della chiesa visigota (e, comunque, molto diffusa a Siviglia).
Non ci stupisce, poi, la coppia San Cristoforo – Sant’Antonio, molto diffusa nelle Alpi, ad indicare anche il carattere taumaturgico del santo.
Un elegantissimo san Cristoforo
Il san Cristoforo del retablo è davvero straordinario: è raffigurato come un giovane uomo forte e aitante con una barba corta e curata. Sulla testa, porta una fascia, con un grande nodo sulla tenia destra, Il Bambino nudo, ma avvolta da un bellissimo mantello damascato, sta appoggiato in modo poco naturale a sinistra del collo del santo, ostentando un mondo ancora tripartito nei tre continenti allora conosciuti (Asia, Europa ed Africa).

Il santo indossa ricche vesti che imitano i broccati tipici dell’epoca: un mantello damascato e foderato di un bel verde (che richiama la fioritura del bastone) ricopre una veste al ginocchio, anch’essa damascata e foderata di arancione, rimboccata alla cintura. Le gambe sono magre ma muscolose ed i piedi appoggiano nell’acqua, dove nuotano strani pesci fra le sassi.
La postura è in contrapposto, ottenuta dalla flessione del ginocchio destro, associata a una rotazione del corpo che gli permette di guardare frontalmente lo spettatore con grazia disinvolta, un elemento di ricercatezza stilistica tipico delle corti rinascimentali (sprezzatura).
Eppure San Cristoforo resta un gigante!
Nonostante l’eleganza stilistica, San Cristoforo mantiene elementi distintivi che erano particolarmente diffusi nella penisola iberica medievale. In primis il bastone fiorito ad indicare il miracolo della fede che fa rifiorire ciò che è senza vita. Ma ci stupiscono in particolare due attributi del santo, finalizzati ad affermare il suo gigantismo: la macina da mulino e i pellegrini alla cintura.

La macina da mulino
San Cristoforo porta una pietra di macina infilata nel suo braccio sinistro. La macina è interpretata come un attributo che enfatizza ostentatamente la statura gigantesca e la forza erculea del santo. Si potrebbe anche pensare che la pietra possa anche essere correlata al suo martirio. Certamente, comunque, il particolare della macina è riscontrato in molte altre opere coeve spagnole.

I pellegrini alla cintura
Anche un altro elemento è assai diffuso nelle raffigurazioni medievali spagnole: alla vita del santo, tenuti saldamente dalla cintura, si agitano due piccole figure umane.
Anche questi personaggi (abitualmente identificati come pellegrini) servono a sottolineare la dimensione colossale di San Cristoforo, ma anche il suo patronato sui viaggiatori. Ma, come di fa notare Ive Cordier, c’è qualcosa che non va: i due pellegrini gesticolano impazienti: uno che indossa la stessa fascia del santo si china come se stesse chiedendo aiuto, e l’altro, che spinge via la macina con un braccio, tiene in mano una scatola di latta o un contenitore di latta che sembra scuotere. mentre tiene il cappello sotto il gomito. Che questa raffigurazione sia legato agli aneddoti di una leggenda popolare?
Caratteri popolari ed eleganti di san Cristoforo
L’immagine, benché di dimensioni inferiori a quelle colossali che erano tipiche delle raffigurazioni poste sulle facciate delle chiese per la protezione dalla morte improvvisa (la cui efficacia si credeva fosse garantita dalla semplice vista dell’immagine), resta comunque un’immagine votiva destinata a un pubblico di élite (i cavalieri dell’Ordine di Calatrava) ma capace di conservare elementi popolari e magici della devozione.
Gli altri san Cristoforo di Siviglia e il san Cristoforo di san Benito di Calatrava
E quando Mateo Perez Alesio giunse a Siviglia, probabilmente contemplò questa raffigurazione, anche se scelse di eliminare tutti gli elementi più tradizionali dell’immagine nel riprodurre il santo in dimensioni straordinarie nella Cattedrale di Siviglia.

Nel XVII secolo, poi, Martinez Montanes scolpì una statua di san Cristoforo, dall’abito molto elegante, damascato. Che conoscesse il san Cristoforo di san Benito di Calatrava? Ma scomparvero anche qui macina e pellegrini, elementi leggendari che non potevano convivere con l’immagine controriformistica del santo.

Bibliografia
- pagina Wikipedia Monasterio de san Benito, Martiri di Cordova
- La pintura “San Cristóbal”, anónima del círculo de Sánchez de Castro, del Retablo Mayor de la Iglesia de San Benito de Calatrava, en la sala I del Museo de Bellas Artes
- Petite iconographie de Saint Christophe à Séville. III:Le retable de quatre tableaux du couvent de Saint-Benoît de Calatrava (San Benito de Calatrava)., Le blog de jean-yves cordier.
- Grau Lobo, L. (1994) «San Cristóbal, homo viator enlos camnos bajomedievales avance hacia el catálogo de una iconografía singular», Brigecio: revista de estudios de Benavente y sus tierras, (4–5), pp. 167–184.
